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mercoledì 13 luglio 2022

In trappola



Come avrete avete notato  la Guerra  russo-ucraina si è “cronicizzata”. Al pari di quella in atto da ben 8 (otto) anni nella regioni orientali del Donbass.. Il martellamento mediatico si è conseguentemente attenuato. 

Quello che ci sarebbe da notare, in questo caso come in molti altri, è il pesantissimo condizionamento esercitato dal “martellamento” sulla percezione della “realtà” da parte del comune cittadino. Che può repentinamente cambiare di segno. Al punto che sembra di vivere in una realtà, piutosto che un’altra, a seconda della rappresentazione che ne viene data. Fatale, e fatìdico, esito quando non  vi è chiarezza concettuale, da parte del fruitore, circa l’abissale differenza che intercorre tra il nome della rosa e la rosa. 

Tant’è che a qualcuno potrebbe sembrare decisamente esagerato, ormai,  parlare di “orlo del baratro”. Così non è. Se capiremo le ragioni profonde, di tipo strutturale e storico che hanno determinato le due Guerre Mondiali del secolo scorso potremo renderci pienamente conto del fatto che la terza, in questo, è non solo possibile ma probabile. Magari -perchè no?- nucleare.

Per sovrammercato il Grande Baratro ben lungi dal concludersi nella sua manifestazione finale, di tipo bellico globale, è formato da un multiforme intreccio di baratri “minori”, tra di loro interconnessi, tra i quali c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Andiamo dal collasso ambientale articolato in una nutrita serie di catastrofi specifiche (siccità-alluvioni-desertificazione-ondate di calore sempre più frequenti ed intense alle nostre privilegiate latitudini-incendi-aria irrespirabile-crollo ghiacciai-avanzata del mare-effetto serra-alterazione atmosfera terrestre-deforestazione-distruzione della biodiversità, del paesaggio e di molto altro) allo tsunami migratorio creato con secoli di colonialismo imperiale, europeo prima ed occidentale poi, passando per la bomba demografica (troppi di là-troppo pochi di qua e troppi in ogni caso), per quella alimentare (fame di là-obesità di qua), quella economico-finanziaria (inflazione combinata con recessione e disoccupazione, il massimo), per quella “politica” (crisi di “rappresentatività” più impotenza delle “Democrazie”),  per quella del progressivo esaurimento di Risorse Naturali.  Con il grande crunch (collasso crosta) che ci aspetta continuando a cavar immani quantità di sostanze liquide, solide e gassose dalla piccola palla sulla superficie esterna della quale abitiamo. C’è poi quella sanitaria a base di pandemie originate dalla progressiva e spaventosa artificializzazione del territorio, e quella psicosociale a base di assuefazione al brutto, al nonsenso ed all’orrore. E molte altre amenità di tal fatta che si integrano, rafforzandosi, le une con le altre.

Insomma pare proprio che il genere “umano” alle soglie del terzo millennio d.C. sia messo non troppo bene. 

Il fatto che a questo sconfortante risultato esso sia arrivato dopo alcuni millenni di magnifiche sorti e progressive della “civiltà”, con il relativo corredo di “passi da gigante” in campo tecnico, tecnologico e scientifico, rende ancor più sconcertante il tutto. Al punto da renderlo apparentemente incomprensibile.

A proposito. La stragrande maggioranza dei “post” che abbiamo pubblicato dall’ormai lontano 2013 , per non dire tutti, potrebbero far parte della serie  “Sull’orlo del baratro”. Una sorta di lunga serie che lega di  un  robusto filo rosso, tutto quanto abbiamo sin qui detto. E che diremo. 

Per poi cimentarci, in futuro, su cosa dovremmo (e forse non potremmo) fare per evitare di caderci dentro. Nel multiforme, zigzagante, infido crepaccio che ci aspetta continuando di questo passo. Quindi riprendiamo l’ininterrotta serie senza più numerarne le infinite puntate.  Affidandoci semplicemente alle eloquenti titolazioni di ciascun articolo.  O  “post”. 

Ma torniamo a noi  e riguadagniamo gli ampi spazi, nei quali ci troviamo decisamente meglio. Dove il terreno, per quanto impervio, si presenta meno infido. Meno paludoso. Meno mefitico. Meno attaccaticcio di quello sul quale si dipana la cronaca quotidiana di orrendi, ed esecrabili, eventi. 

Attenzione però. Per indagare sulle vere ragioni per cui accade quello che accade, sono necessarie cose come lo studio di buone letture, la riflessione, la perseveranza, la voglia di capire, il soliloquio interiore. Nel silenzio. E altro di poco praticabile per noi. Indaffarati, di corsa e lievemente intontiti dallo smartphone. Poi non stupiamoci e/o lamentiamoci se la casa ha preso fuoco  Quando la casa brucia è, di  solito, troppo tardi per fare qualcosa. E ancor più tardi per cercare di capire perchè ha preso fuoco.

In ogni caso non ci resta che provarci. A capire.

“Converrà, se vogliamo fare un lavoro serio, partire da alcuni fondamentali. Senza  risalire,  per il momento, ad Adamo ed Eva. Il primo passo potrebbe essere questo: forse crediamo di vivere nella Realtà. Non è vero. Viviamo in una realtà.” 

Così nella chiusa di una precedente puntata. 

Una realtà. Risultato di un processo storico. Frutto di scelte e di azioni umane. Più o meno consapevoli. Una delle tante che avrebbero potuto determinarsi. O che potrebbero essere in futuro. 

Per quanto possa sembrare a qualcuno una pura perdita di tempo, o noi partiamo da questo bandolo e, con pazienza, cerchiamo di sgrovigliare la matassa, oppure, dando strapponi a casaccio di qua e di là, non potremo che trovarci sempre più avviluppati dall’ “incomprensibile”.

Capire si può. Poi, persino com-prendere. Ma è necessario partire dal bandolo. E seguirne pazientemente l’intricato viluppo. Viceversa restiamo a livello del “rumore” a base di cronaca “emotiva” che niente ci fa capire. 

Se non viviamo nella realtà bensì in una realtà, una delle tante che si sono susseguite nel tempo e nello spazio, allora la domanda che viene subito dopo dovrebbe essere: in quale realtà viviamo?

 

Ogni Società umana si configura come Sistema complesso frutto dell’intreccio di molte dimensioni.  Quella “economica” costituisce la cornice entro la quale tutte le altre -sociale, politica, culturale, filosofica e persino personale- si muovono. 

Quella che noi chiamiamo impropriamente “economia”, oltre che portarci -graziosamente e ogni giorno- in tavola ciò di cui abbiamo bisogno per (soprav)vivere è -anche- la trappola nella quale l’intera umanità oggi vive. Gli effetti devastanti da essa prodotti -a questo punto- sulla vita degli esseri umani, sul paesaggio e persino sull’ecosistema planetario sono visibili quotidianamente da chiunque. Dovunque volga lo sguardo.

La trappola “economica” è scattata una manciata di millenni orsono, quando Homo Sapiens ha dovuto “inventarsi” il lavoro produttivo (agricoltura) per non soccombere. Altro che “progresso”. Poi si è via via “perfezionata” fino ad assumere la particolare forma di oggi. Che gli standard di vita, con questa “invenzione”, siano veramente migliorati è cosa estremamente controversa e sempre più dubbia. Che essi vengano sistematicamente invocati a difesa del presente costituisce la “dimostrazione” che, sia pure vagamente, ci si rende conto del fatto che “qualcosa” non va.

Cionondimeno continuiamo ad atteggiarci come se vivessimo nel migliore dei mondi possibili. Senza chiederci quale è il problema e da che cosa esso origini. Addirittura negandolo e/o rimuovendolo. 

Sacrosante denunce si susseguono fino alla noia. Giuste e vibrate proteste senza sbocco, o con sbocchi limitati, esplodono in ogni dove. Patetici, infantili negazionismi vengono pervicacemente riproposti. Accorati appelli ai Grandi Valori Morali vengono reiterati.  Continui incitamenti a “salvifiche” pratiche individuali “virtuose” si sprecano. Grande impegno viene, in certi casi, profuso nel lodevole, ma sostanzialmente inefficace, tentativo di arginare esecrabili effetti. Scambiandoli regolarmente per cause.

Ci si può persino dedicare, con talento, gusto, sensibilità estetica ed impegno creativo ad abbellire l’interno della trappola. Per renderlo un po’ meno opprimente. Un po’ più “vivibile”. Oppure usare le tristi realtà che ci circondano da ogni lato per farne spettacolo e intrattenimento. Si può arrivare persino a predicare la possibilità di essere liberi, felici ed appagati.  Dentro la trappola. 

Nulla cambia. E nulla cambierà. Perché nulla di veramente sostanziale può cambiare se non viene neutralizzato il meccanismo che determina l’esistenza della trappola. Che è la trappola.

O noi comprenderemo, e fino in fondo, di quale meccanismo “economico” è prigioniera la nostra vita e come esso funziona, o dovremo consegnarci impotenti a quella che ci viene continuamente ri-presentata come una inevitabile fatalità senza via d’uscita.

O, peggio, il migliore dei mondi possibili.  


Bene.

Non è la prima volta che ne parliamo. Vi proponiamo di passare un’estate diversa. Fermi.  Lontano dal rumore. All’ombra. Rilassati. Studiando. Può essere che qui, in questa desueta dimensione, troviamo quel “qualcosa” di terribilmente sfuggente al quale compulsivamente corriamo continuamente dietro senza mai raggiungerlo? Può essere.

Consultando la MAPPA TEMATICA potrete sicuramente costruire un opportuno e personale percorso di iniziale ricerca.

Buona vacanza meditativa.








 


martedì 21 giugno 2022

TABU'

intermezzo nella lunga serie "Sull'orlo del baratro"


Miscellanea di estratti da alcuni vocabolari on line della lingua italiana


tabù (anche, ma solo nel sign. proprio e nell’uso scient., tabu) s. m. e agg. [dal fr. tabou,  ingl. taboo, adattam. di voce polinesiana].

In etnologia e in storia delle religioni, interdizione o divieto sacrale di avere contatto con determinate persone, di frequentare certi luoghi, di cibarsi di alcuni alimenti, di pronunciare determinate parole, e sim., imposti per motivi di rispetto, per ragioni rituali, igieniche, di decenza o per altri motivi 

In psicanalisi, il termine indica ogni atto proibito, oggetto intoccabile, pensiero non ammissibile alla coscienza, come nel caso emblematico dell’incesto.  In partic., t. verbale o lessicale, la tendenza a evitare certe parole o locuzioni per motivi di decenza, di rispetto religioso o morale, di convenienza sociale: certe parti del corpo e funzioni fisiologiche, per tabù, vengono nominate con eufemismi.

Divieto di fare certe cose o di pronunciare parole o di avere rapporti con persone considerate sacre: violare un t.; la cosa o la persona oggetto di tale divieto estens. Tutto ciò che è oggetto di un divieto senza fondamento oggettivo o ciò di cui si preferisce non parlare.

«La parola tabù esprime due opposti significati: in un senso significa sacro, consacrato, nell'altro, sinistro, pericoloso, proibito, impuro. [...] Possiamo in genere pensare che al significato di tabù corrisponda spesso il nostro «orrore sacro» »(Sigmund Freud)

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Sembrerebbe roba da retrogradi & primitivi. Così non è.  Vigono ancora oggi nel nostro avanzatissimo, ipertecnologico, democratico nonché benestante (anche stante Bene?) "Occidente". E non solo. Purtroppo.

Per fortuna c'è ancora qualcuno che che cerca di infrangerli. Ragionando e invitandoci a ragionare. Una boccata di salutare Senso nei soffocanti miasmi dell'ottusità a base di P.U. (Pensiero Unico).

GRAZIE Piero


La proposta pro-resa

Il coraggio di arrendersi

Piero Sansonetti  (Il Riformista) 12 Marzo 2022


Dopo più di vent’anni di battaglie furiose, perse e vinte, con il corpo e il volto carichi di cicatrici, il 19 luglio del 1881 Toro Seduto si arrese all’esercito degli invasori. Cioè agli americani. Lo fece per salvare il suo popolo, perché aveva capito che ormai non poteva più sconfiggere i soldati blu, e poteva solo provocare altre morti tra i suoi. Fece bene? Non so, dal momento che poi i vincitori non furono molto generosi, sicuramente si comportò da capo. Si fece arrestare per salvare vite umane.

Quasi duemila anni prima, più o meno nel cinquanta avanti Cristo, un grande guerriero francese, che veniva chiamato Vercingetorige, dopo avere più volte sconfitto le legioni romane, guidate da Giulio Cesare, vedendosi chiuso nell’assedio della città di Alesia, e capendo che non avrebbe più potuto vincere, si arrese e chiese pietà a Giulio Cesare per il suo popolo, si gettò in ginocchio e offrì la sua vita in cambio della salvezza dei Galli. Cesare accettò, lo fece prigioniero, lo usò per rendere più sfarzose le sue feste, mostrandolo in catene, lo umiliò in ogni modo e poi lo fece strangolare. Oggi però i francesi vanno orgogliosi di quel loro antico eroe, che, in fondo, fu proprio il primo eroe della futura Francia e della futura Europa. Si diceva che fosse il capo dei barbari. Ma forse il barbaro era Cesare. Nessuno, immagino, vorrà dirmi che Toro Seduto o Vercingetorige fossero dei vigliacchi. Erano dei guerrieri. Coraggiosissimi e anche geniali. Dicono gli storici che avevano doti strategiche e militari sconosciute e straordinarie.

Vercingetorige, se ho capito bene, è l’inventore della guerriglia. Toro Seduto della sorpresa e dell’agguato. Non erano mica dei perdenti. Cesare più volte fu costretto alla fuga. E il generale Custer era convinto di travolgere i Sioux e poi, con una medaglia sul petto, di partecipare alle elezioni del presidente degli Stati Uniti del 1876. Sognava la Casa Bianca. Così li attaccò a Little Big Horn, in luglio, vigilia elettorale. Ma i sioux, a sorpresa, contrattaccarono, sterminarono il settimo cavalleggeri e uccisero Custer. Alla Casa Bianca andò il pacifico governatore dell’Ohio. Si chiamava Rutheford Hayes. Eppure questi due grandi guerrieri – il francese e il Sioux – si arresero. La resa è viltà? È vergogna? È rinuncia? Naturalmente non esiste un principio generale. Alle volte la resa è rinuncia e sconfitta. Alle volte no. Nel settembre del 1943 l’Italia si arrese agli anglo-americani e fece benissimo ad arrendersi. Sebbene lo fece in modo poco onorevole, con la precipitosa fuga da Roma del Re e dei generali e con l’abbandono di un esercito e di un popolo allo sbando. Il contrario di quello che avevano fatto Vercingetorige e Toro seduto. Loro avevano offerto se stessi e i propri corpi per la salvezza dei loro soldati e del popolo. I Savoia offrirono al nuovo nemico, ai tedeschi, il proprio popolo in cambio della loro salvezza.

Ieri Alberto Cisterna, magistrato prestigioso ed esperto, intellettuale, collaboratore molto attivo sul nostro giornale, ha avanzato l’ipotesi che in certe condizioni la resa sia un dovere. E il riferimento esplicito era all’Ucraina. Forse proprio la crudezza della parola ha creato molte polemiche. “Resa”. Resa è una parola impronunciabile nella retorica secolare e corrente. È la fine della dignità, o della virilità, del coraggio, del patriottismo. Io non ho alcun disprezzo – anche se non li ho mai sentiti miei – per valori come quelli della dignità, del coraggio, del patriottismo, e non ho mai pensato che chi li pone al vertice del proprio pantheon etico sia una persona che non merita rispetto e ammirazione. Così come continuo sinceramente a stimare le persone che vorrebbero una soluzione di forza e di guerra per l’Ucraina, e che pensano che la sconfitta dei russi, la più dura possibile, sia l’unica via d’uscita dalla crisi. Quando le questioni delle quali si discute sono così complesse e tragiche non c’è niente di più sciocco che dividersi in squadre e indicare come utile idiota chi non la pensa come te. Pubblichiamo un articolo molto bello di Paolo Guzzanti, che sostiene tesi opposte alle mie. E Bobo Craxi dà un giudizio ancora più severo sull’ipotesi della resa. Beh, vi assicuro che Bobo, e Paolo ed io possiamo continuare a discutere di queste cose per tutto il tempo necessario senza perdere un grammo di stima l’uno verso l’altro.

Io chiedo solo che tutte le posizioni siano considerate legittime. Anche quella estrema che ha espresso Alberto Cisterna e che io condivido in pieno. Dalla prima all’ultima riga. E chiedo che l’idea di chi pensa che risparmiare qualche centinaio o qualche migliaio di morti sia, in questo frangente, non un’opzione ma un dovere, e che talvolta le ragioni supreme della politica e degli stati, e anche dei popoli intesi come “indefinito collettivo”, siano meno supreme di quelle della difesa della vita di singole persone umane, sia considerata una idea possibile. Le ragioni di questa mia posizione risiedono, più o meno, nel vecchio e glorioso pensiero pacifista. Del quale l’Italia è stata una delle culle. Il pensiero di San Francesco, di Teodoro Moneta, di Primo Mazzolari, di Aldo Capitini, di Alex Langher. È il pensiero di vecchi utopisti? Può darsi. O forse invece è il cemento della civiltà moderna. Io sono più per la seconda ipotesi.

Piero Sansonetti

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.


Redazionale
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venerdì 10 giugno 2022

Andavamo così bene!

 della serie Sull'orlo del baratro

quinta puntata


Preziosissima segnalazione! Infiniti ringraziamenti al nostro romantico Giustiziere.

L’interessante articolo della brava Anna Zafesova pubblicato da La Stampa il 24 maggio 2022 ci sarebbe sicuramente sfuggito. Lo abbiamo detto e lo ribadiamo. Se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti. Ci auguriamo che le tue preziose “dita  d’acciaio”,  avvezze a ben altri e rudi cimenti, non abbiano subito un “rammollimento” eccessivo dal tocco delicato che la tastiera richiede.

Oltre alla constatazione dello stretto legame tra guerre, distruzione, ri-costruzione & business apprendiamo alcuni particolari, a margine per così dire, che ci stupiscono. Ma solo perché siamo, come te, degli inguaribili ingenui, un tantino ignoranti circa le cose del mondo. Questo mondo. Sia ben chiaro.

Come, per esempio, il fatto che una brillante serie comica possa portare al potere un brillante attore comico. Vero è che anche da noi casi del genere non sono mancati. Purtroppo. Se non proprio al Potere alla “politica”. Tra virgolette e con la p minuscola.  Ma non possiamo pretendere più di tanto in un mondo nel quale la Politica con la P maiuscola e senza virgolette, o Arte del Possibile, è di là da venire.

Oppure come diavolo possa essere esilarante un scena di spartizione della ricchezza di un Paese tra  affaristi, magnati, oligarchi, e persino onesti imprenditori del ramo industriale. Prima, durante -e dopo- un qualsiasi tipo di guerra.

Oppure come un passato di brillante attore comico, magari ferocemente critico nei confronti dell’esistente -vedi caso italiano- possa risultare decisivo riguardo alla messa in campo di una “immensa abilità di comunicazione” (comunicazione!).

Oppure ancora come possa risultare “provvidenziale” ogni tipo e genere di distruzione bellica. Dal momento che questo significa -come in questo caso uno dei tanti, passati, presenti ed a venire-  un Immenso Cantiere da 500-600, forse 1000 miliardi di dollari. L’ “Affare”  del secolo XXI. Altri seguiranno.  Siamo solo agli inizi.  Ricche occasioni di investimento. Investimento! Dopo.  

Dopo che ponti vengono fatti saltare. Magari con i viandanti che li percorrono. Dopo che magazzini  vengono centrati dai missili e fabbriche devastate dalle bombe e quartieri interi rasi al suolo. Magari con tutte le persone che li abitano. Bisognerà ricoltivare campi bruciati e rimettere in piedi scuole e ospedali inceneriti, riasfaltare strade sbriciolate dai cingolati e ricostruire da zero gli aeroporti. E molto altro.

Insomma un potente “motore propulsivo di portata continentale di cui si sentiva il bisogno”. Grande bisogno.

Ed è così che un Sistema Economico Intoccabile trasforma, chissà perché, le peggiori disgrazie  artificiali, come le Guerre, e persino quelle “naturali”,. in “motori” di Sviluppo & Crescita. Quindi benessere.

Se tutto ciò comporta, quale triste corollario, devastazioni immateriali che nessun investimento di denaro potrà mai sanare......pazienza! Che sarà mai di fronte alla primaria esigenza di “far girare” l’economia? Costi quel che costi. Hai visto cosa è successo con lo stramaledetto virus pandemico?

E poi insomma la colpa non è nostra. Ma di chi la Guerra di Aggressione l’ha scatenata. 

L’Economia Mondiale arranca. Colpa di questa stramaledetta guerra e di chi l’ha scatenata. Va ribadito. E dello stramaledetto virus. Accidenti andavamo così bene! Inflazione? Non sapevamo che cosa fosse. Disoccupazione? Nemmeno. Sfracelli a base Bancherotte Private e Pubbliche? Mai visti prima. Mercato che non “tira”? In un modo o nell’altro siamo sempre riusciti a farlo “tirare”. Magari drogandolo a base di obsolescenza programmata, coatta e sostenuta da incentivi. E di Debito Pubblico Stratosferico. Austerità? Macchè! Bonus, controbonus e sovrabonus. Persino 110% !  E financo quello “psicologico”. Per chi di noi dovesse accusare qualche piccolo sbandamento mentale. Costo del denaro? Te lo regalavano! Fame nel mondo? Prima del blocco navale sul Mar Nero non esisteva! Carenza di materie prime? Sempre colpa della stramaledetta guerra che blocca tutto. E che nessuno vuole. Tranne uno. Brutto, Cattivo e Pazzo.

Finiremo nelle lista nera dei filo putiniani?

Guerra che, se da una parte è l’unica responsabile di ogni nostro male, si trasformerà come per magia -che strano- nella nostra salvezza. Il grande “motore propulsivo di portata continentale di cui si sentiva il bisogno”.  E’ risaputo: se l’Economia “gira” stiamo tutti meglio. E non  sottilizziamo, per favore, su che cosa e perché la fa girare. Perbacco. La cosa davvero importante è che “giri.” Punto.

Ma qui è forse il caso di smetterla con il gioco delle spiritosaggini, oggi di moda, per cominciare davvero ad allargare lo sguardo ed avviare un percorso che ci consenta, se possibile, di capire. Perché. Succede quello che succede. E che, così si dice, nessuno vuole. E perché non succede quello che tutti, si dice, vogliano. Pace, serenità, prosperità, benessere e felicità. Strano.

E allora torniamo all’insigne studioso britannico. 

Le sue parole (vedi) scritte nella metà degli anni ‘90 del novecento, sono attualissime e ci mettono sulla strada corretta. Partendo da una approfondita analisi delle dinamiche che hanno plasmato il novecento, che egli chiama  “Secolo  breve”, mette in campo una vera e propria carica profetica che potrebbe riguardare tutto il secolo in corso. Il ventunesimo. Ed oltre. Probabilmente.

Non è la prima volta che scriviamo di queste cose. Ora che abbiamo imparato -finalmente- ad usare la magica manina possiamo rinviare, comodamente, il lettore ai precedenti.

Converrà, se vogliamo fare un lavoro serio, partire da alcuni fondamentali. Senza  risalire,  per il momento, ad Adamo ed Eva.

Il primo passo potrebbe essere questo: forse crediamo di vivere nella Realtà. Non è vero. Viviamo in una realtà.

Se qualcuno, nonostante tutto, pensa ancora -ottusamente- che nelle “emergenze” non è il caso di porsi e porre problemi di ampia portata come questo, lo invitiamo a rileggersi -meglio studiare- Sull’orlo del baratro 2 al capoverso  “Non è il momento”.

(continua)


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mercoledì 25 maggio 2022

Guerre & Business

 della serie: sull’orlo del baratro

quarta puntata


Carissimi Resistenti,

proprio il giorno dopo aver letto la terza puntata nella quale dite, in chiusura:

“Guerra, non importa da chi, contro chi e perché, uguale DISTRUZIONE. Materiale. Ponti, strade, ferrovie, case, città, ambiente, piantagioni, strumenti di lavoro, ospedali, scuole. E molto altro. Immateriale. Giustizia, verità, solidarietà, cooperazione, comprensione, amicizia, serenità, pace, rispetto, laboriosità, Politica con la P maiuscola o arte del possibile. E molto altro. Ed  infine Esseri Umani. In carne ed ossa. Fatta a pezzi. DOPO bisogna  RI-COSTRUIRE. E qui si annida la perversità di un Sistema Storico Globale che deve continuamente CRESCERE. E che quando non può più crescere, crea condizioni tali per cui, in un modo o nell’altro si arriva, quando non bastano più le distruzioni "creatrici" alle DISTRUZIONI distruttive e basta. Per poi ricominciare daccapo. A CRESCERE..........fino alla.........prossima volta...........” 

verso le 7,30 a Prima Pagina (Radio 3) (non ha mai messo piede in casa mia quella scatola "magica" che voi chiamate TeleVisione) la brava conduttrice di questa settimana -Serena Danna vicedirettrice del quotidiano on line "Open"- ha segnalato l’articolo che vi allego. Comperato in edicola alle 7 e 55, ribattuto parola per parola e virgola per virgola dal sottoscritto in due ore di duro lavoro digitale, rigorosamente con 2 (dicesi due) dita.  Vi propongo di sottoporlo ai vostri affezionati lettori. Casca “a fagiolo”, come si dice. Mi pare.  Quando si dice il destino. O -forse- il caso?

Sempre vostro romantico eroe insonne.


LA STAMPA

Martedì 24 maggio 2022  pagina 11

Titolo

“Il tesoro della ricostruzione Johnson è in pole position”

Sottotitolo

“Il leader ucraino propone di affidare una ragione a ogni Stato europeo un business da 500 miliardi che può rilanciare l’economia continentale”

di Anna Zafesova


"Nel  “Servo del popolo”, la brillante serie comica che ha portato al potere Volodymyr Zelensky, c’è una scena esilarante, con gli oligarchi avversari del presidente onesto che giocano a un Monopoli disegnato a forma di Ucraina, contendendosi porti, miniere e fabbriche. Ieri a Davos il leader ucraino ha proposto una nuova versione di questo gioco alla business community del mondo intero.

Ogni paese, città o società estera potrà “adottare” una regione, o un settore industriale dell’Ucraina per patrocinarne l’immensa opera di ricostruzione postbellica, una partita valutate per ora -a guerra ancora lontana dalla conclusione, e in maniera totalmente approssimativa- in 500-600 miliardi di dollari. Un disastroso buco senza fondo, che però potrebbe diventare anche l’affare del secolo, con un nuovo piano Marshall, che l’Occidente e in particolare l’Europa probabilmente finanzieranno e garantiranno, almeno in parte.

Molti hanno ricordato in questi mesi il passato di attore di Zelensky, per spiegare la sua immensa abilità nella comunicazione, che gli ha fatto vincere con grande distacco la classifica dell’anno votata dai lettori della rivista Time. Pochi si ricordano che il presidente ucraino è anche un imprenditore di successo. I film e la serie creata dalla sua casa di produzione sono tra i campioni di incassi, anche in Russia. Sa benissimo che parlare agli imprenditori di diritti, di libertà, dei morti di Bucha, significa parlare a loro come persone, ma non ai loro bilanci, ai dividendi che devono versare ai loro azionisti e agli stipendi che devono pagare ai loro dipendenti. E così sceglie di parlare da uomo d’affari e dire loro che il mio Paese diventerà il più grande progetto infrastrutturale e tecnologico dell’Europa. Chi arriva prima si prende il meglio (é da qualche settimana che gira la voce che la ricostruzione di Kyiv e regione verrà patrocinata dal Regno Unito, un diritto di prelazione conquistato da Boris Johnson con il suo appoggio militare e politico). Ma ci saranno ricche occasioni di investimento per tutti: bisognerà ricostruire ponti che ora vengono fatti saltare, magazzini centrati dai missili russi, fabbriche devastate dalle bombe e quartieri interi rasi al suolo. Bisognerà ricoltivare campi bruciati e rimettere in piedi scuole e ospedali inceneriti, riasfaltare strade sbriciolate dai cingolati dei carri e ricostruire da zero gli aeroporti, colpiti dai missili russi già nelle prime ore. 

Un cantiere immenso in un Paese che ha appena dimostrato di avere una capacità di mobilitazione e una popolazione preparata, con la guerra che potrebbe far esplodere, tra tante altre cose, anche reti di complicità corrotta degli oligarchi. Zelensky promette particolari privilegi alle società che esitano ancora ad uscire dal mercato russo e ai Paesi che temono di voltare le spalle a Mosca, forse anche a quelle della Cina la cui delegazione a Davos è l’unica a non applaudire in piedi il suo discorso. Si rivolge proprio a quei seguaci della “real politik” che –come lui sa benissimo- stanno premendo oggi sui governi per fermare gli scontri, concedere a Putin pezzi di Ucraina per “salvare la faccia” e togliere almeno una parte delle sanzioni contro la Russia per tornare a farci affari. Il suo messaggio ai giocatori del Monopoli è straordinariamente pragmatico: mentre il rischio Paese della Russia è alle stelle, il piano Marshall ucraino potrebbe diventare un motore propulsivo di portata continentale di cui si sentiva il bisogno, e sul quale si sta già lavorando, a Kyiv come a Bruxelles e a Washington. Chi deciderà di restare fuori rischia non solo di puntare su un alleato imbarazzante, ma di fare anche un calcolo sbagliato.”

                                                                  Fine dell'articolo.


Anna Zafesova è vicecaposervizio presso La Stampa. Si occupa di problematiche russo-ucraine.


(continua)


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venerdì 13 maggio 2022

Sull'orlo del baratro 3

 Terza puntata



Il baratro, perlomeno nella forma di  “spettacolare” (qui siamo giunti) conflagrazione globale, magari -perché no?- nucleare sembra, per il momento, quasi scongiurata. - Sembra - per il momento - e  - quasi -Tutto doppiamente sottolineato.

Lo farebbero pensare:

-le larvate aperture alla trattativa del Presidente ucraino. Immediatamente bacchettato però dal Segretario Generale della NATO;

-il discorso “sottotono” del Presidente russo alla parata moscovita dell’8 maggio;

-il richiamo del Presidente francese al fatto che, quando la guerra sarà finita, sottinteso perché la vinceranno gli aggrediti ed i loro sostenitori, dovremo evitare -bontà sua e nostra- di cedere alla sciagurata tentazione di umiliare la Russia;

-per quanto vale, il timido, cauto richiamo del nostro Presidente del Consiglio in visita a Washington sul fatto che sarebbe -forse- opportuno orientarsi verso il negoziato tra le parti in causa.

Solo la settimana scorsa tirava un’aria decisamente diversa. Non è il caso comunque di farsi illusioni.

La “partita” resta più che mai aperta. La secca, intransigente chiusura di Stoltenberg non fa ben sperare e la dice lunga su chi non vuole la trattativa. Così come la corsa al riarmo europeo, la conferma “occidentale” dell’ampio sostegno militare agli aggrediti nonché l’annunciata adesione alla NATO di Paesi storicamente neutrali. Tutti segnali che vanno in una ben precisa direzione.

Pochi giorni orsono, quando da una parte il Presidente russo tuonava minacce nucleari, peraltro risfoderate proprio mentre scriviamo, e dall’altra  venivano confermate radicali intransigenze, condite addirittura da malriposte speranze di Vittoria da parte degli aggrediti sugli aggressori, c’è stato un momento nel quale le cose sembravano precipitare. Al punto che ci è venuto spontaneo pensare, con un certo rimpianto, ai bei vecchi tempi della “guerra fredda”. Quasi che quello fosse un tempo di ingenua innocenza, ormai irrimediabilmente perduto. Abbiamo sentito nell’aria come una sorta di “vibrazione” di tale natura. Se non si trattasse di una sensazione solo e squisitamente soggettiva questo la direbbe lunga su quanto è cambiato -in peggio- il mondo e su come -malissimo- siamo messi a distanza di mezzo secolo soltanto. 

Il solo fatto di poter dire, e pensare, che un conflitto bellico globale nucleare potrebbe anche rientrare nel novero di reali possibilità, ci dice il baratro psicologico, mentale, valoriale e culturale nel quale siamo già precipitati.

C’è poco da stare allegri. Supponiamo che per una favorevole serie di circostanze si addivenisse ad un onorevole accordo che mettesse ad una -provvisoria- fine le ostilità attualmente in corso nel cuore dell’Europa. Potremmo tirare un sospiro di sollievo e considerarci ritornati, grazie al cielo, alla “normalità”? Non siamo di questo parere. Dal momento che la polveriera globale sarebbe tutt’altro che neutralizzata. 

Ricordiamoci che le guerre attualmente in corso sul globo terraqueo, censite recentemente (2020) dalla Università svedese di Uppsala, sono ben 169 (centosessantanove). Di cui 3 (tre) sono tra Stati Nazionali. Russia-Ucraina. India-Pakistan. Cina-India. Diventano 4 (quattro) se consideriamo il conflitto mediatico-militare  nel Medio Oriente che vede coinvolti Israele, Stato Palestinese ed Iran. 

Ne restano 165 (centosessantacinque) sparse per il mondo, ma raggruppate in una ben precisa fascia definita “Caoslandia” (terminologia a nostro parere non appropriata) nel numero di marzo della rivista italiana di geopolitica “Limes” (Cartina a colori 8 tra la pagina 16 e la 17).  Fascia che partendo dal Centro America prende quasi tutto il Continente africano, gran parte dell’Asia centro-meridionale, per terminare con una cospicua parte del Sud-Est asiatico. Più caso Corea del Nord. Guerre civili e/o tra fazioni e/o tra etnie e/o tra “gruppi” di interesse economico-politico,  gli uni contro gli altri armati. Chissà da chi. E perché. Condotte direttamente dalle “parti” in campo e/o per procura e/o con l’utilizzo di mercenari. Ben  125 (centoventicinque) sono guerre di questa tipologia.  In 21 (ventuno) casi si tratta di guerre condotte da Stati contro popolazioni civili classificate come “minoranze”. 

La fonte di tali dati è la già citata Università svedese di Uppsala (Depatement of Peace and Conflict Research) riportati da Lucia Capuzzi in un articolo comparso sul quotidiano “Avvenire” del  1 maggio sotto il titolo “ Così il silenzio uccide in 169 guerre nel mondo”

A differenza della guerra Russo-Ucraina in corso, si tratta di guerre “lontane” che si consumano perciò nella totale indifferenza dell’apparato mediatico e quindi del pubblico “occidentale”.

Ma non basta. Se è vero, come pare sia vero, che la guerra Ucraino-Russa, nelle regioni russofone e separatiste del Donbass era in corso, chissà perche ignorata, da ben 8 (otto) anni.

Tra le tante -troppe- cose pochissimo chiare  nonché  “strane” di questo tragico frangente bellico ve n’è una che ci tormenta da qualche giorno. Persino durante il sonno. Vogliamo raccontarvrela a costo di passare per “complottisti”. O quasi.

Il ragionamento potrebbe partire da questa domanda: perchè e come mai Putin, che pazzo probabilmente non è e, tanto meno, stupido, ha attaccato  l’Ucraina scavandosi così, da solo, la fossa?


Start Magazine      leggi qui 

"Perché Putin non attaccherà l’Ucraina (checché ne dicano gli Usa)". L’analisi di Caracciolo (Limes)

di Lucio Caracciolo

"Se Putin dovesse invadere l’Ucraina e marciare su Kiev, si scaverebbe la fossa da solo."

 L’analisi di Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, pubblicata il 14 febbraio sul quotidiano La Stampa.

Stupefacente!

Perché una “mossa” così chiaramente, completamente e tragicamente sbagliata da ogni punto di vista.  Politico, tattico e strategico? Che ha dato il destro all’amministrazione USA  con il relativo seguito di Apparati Vari, di Alleati Europei e di vasta parte di Opinione Pubblica Occidentale per metterlo nell’angolo?

Allora le ulteriori domande potrebbero essere:

1. Non è che, per caso, lo “Zar” è stato volutamente messo, mediante una lunga preparazione, nelle condizioni di non potersi far sentire in altro modo?

2. Non è che, per caso egli, accecato dalla propria esuberanza muscolare, è ingenuamente e stupidissimamente caduto nella  trappola?

Rifiutiamo categoricamente l’ eventuale,  immancabile, accusa  di “complottismo”. Il sospetto è legittimo e fondato. Sulla base della elementare logica deduttiva. Nonché della elementare logica contro-deduttiva. Nonché sulla stupefacente dichiarazione di Caracciolo del 14 febbraio. Nonché, ancora, su una serie di altre voci.

Di seguito un primo piccolo e parziale elenco.

Italia Oggi          leggi qui     

"“Putin è caduto nella trappola che fu ipotizzata dagli americani” di Franco Adriano


La Stampa          leggi qui

“Lo Zar si è lasciato adescare, ora è nella trappola degli Usa. Ha rinunciato all’Occidente e questo ci avvicina più che mai a un confronto finale. Ma non ho fiducia negli uomini politici, mancano gli statisti: spero solo in Macron.”    OLIVER STONE 12 Marzo 2022 alle 01:00


Infosannio  Notizie on line          leggi qui

BY INFOSANNIO ON 6 MARZO 2022 • ( 9 COMMENTI )

“Putin è caduto nella trappola?”


C’è di che continuare ad avere qualche  “preoccupazione”. Il mondo, dopo qualche millennio di “umana” “civiltà” è una plumbea, soffocante, maleodorante polveriera pronta all’esplosione. Che può avvenire da un momento all’altro, per i più svariati  “motivi” e “grazie” ai più diversi “protagonisti”. E protagonismi. 

La Terza Guerra Mondiale “a pezzi”, richiamata in più occasioni da Papa Bergoglio è da tempo incominciata. Non ce ne siamo accorti. O abbiamo fatto finta di non accorgercene? Adesso che i pezzi si tanno saldando e sono sempre meno “lontani” ce ne stiamo finalmente, ma forse tardivamente, accorgendo.

Dentro e sotto l’indecifrabile caos di Caoslandia (termine non nostro e inadeguato lo ripetiamo), che ormai abbraccia una superficie pari a metà delle terre emerse e la cui linea di tendenza è la progressiva espansione sull’altra metà -dove noi ci troviamo- almeno tre sono le costanti di cristallina chiarezza. Accomunate dalla quarta.

1. Accaparramento e successiva gestione di immense -ancora per un po’- preziose Risorse Naturali. Comunque non infinite ed in tendenza sempre più scarse.

2. Traffico Mondiale di Armi e di Armamenti di ogni tipo, forma e letalità. . Alimentato evidentemente dalla Gigantesca Produzione dei medesimi. Da segnalare che tra i non firmatari della convenzione di Ottawa, entrata i vigore nel 1999, per la messa al bando delle mine anti persona (produzione, stoccaggio e vendita) figurano Stati come la Cina, la Corea del Sud, L’India, il Pakistan, la Russia egli Stati Uniti. (Dati ONU).

3. Guerra, non importa da chi, contro chi e perché, uguale DISTRUZIONE. Materiale. Ponti, strade, ferrovie, case, città, ambiente, piantagioni, strumenti di lavoro, ospedali, scuole. E molto altro. Immateriale. Giustizia, verità, solidarietà, cooperazione, comprensione, amicizia, serenità, pace, rispetto, laboriosità, Politica con la P maiuscola o arte del possibile. E molto altro. Ed  infine Esseri Umani. In carne ed ossa. Fatta a pezzi.

DOPO bisogna  RI-COSTRUIRE. E qui si annida la perversità di un Sistema Storico Globale che deve continuamente CRESCERE. E che quando non può più crescere, crea condizioni tali per cui, in un modo o nell’altro si arriva, quando non bastano più le distruzioni "creatrici", alle DISTRUZIONI distruttive e basta . Per poi ricominciare daccapo. A CRESCERE..........fino alla.........prossima volta...........”  La cosa è storicamente dimostrata. Ma ci ritorneremo sopra quando cominceremo davvero ad allargare lo sguardo.

4. Immenso giro di Denaro che, evidentemente, non scarseggia.  Che si traduce in Potere & Dominio. Potere & Dominio che praticato, vuoi in forme “democratiche”, vuoi  “autocratiche”, vuoi in quelle scopertamente dittatoriali, si traduce in sempre maggiore Denaro. Il quale -a differenza delle Risorse Naturali- può moltiplicarsi all’infinito. Infinito.......?..........

Un perverso circolo vizioso e chiuso che produce, a ritmo impressionante, una serie di baratri concatenati rispetto ai quali la conflittualità armata e globale rappresenta “soltanto” la punta del classico  iceberg.


(continua)

 

Redazionale
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venerdì 6 maggio 2022

Sull'orlo del baratro 2

Seconda puntata


  “Sappiamo che dietro la nube opaca della nostra ignoranza e l’incertezza sugli esiti dettagliati degli eventi, le forze storiche che hanno plasmato il secolo continuano ad agire. Viviamo in un mondo catturato, sradicato e trasformato dal titanico processo tecnico-scientifico dello sviluppo del capitalismo, che ha dominato i due o tre secoli passati. Sappiamo, o perlomeno è ragionevole supporre, che tale sviluppo non può proseguire all’infinito. Il futuro non può essere una continuazione del passato e vi sono segni, sia esterni sia, per così dire, interni che noi siamo giunti a un punto di crisi storica. Le forze generate dall’economia tecnico-scientifica sono ora abbastanza grandi da distruggere l’ambiente, cioè le basi materiali della vita umana. Le stesse strutture delle società umane, comprese alcune basi sociali dell’economia capitalista, sono sul punto di essere distrutte dall’erosione di ciò che abbiamo ereditato dal passato della storia umana. Il mondo rischia sia l’esplosione che l’implosione. Il mondo deve cambiare.

Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e -se i lettori condividono l'argomentazione di questo libro- sappiamo anche perché. Comunque, una cosa è chiara. Se l’umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio.”

(Eric J. Hobsbawum “Il secolo breve” 1914-1991 BUR 2019)


Anneghiamo nella cosiddetta “informazione”. Realtà -non dimentichiamolo- virtuale, nella quale spesso e volentieri è estremamente arduo capirci qualcosa, persino in quello che dovrebbe essere il suo campo specifico. Vale a dire il racconto -non dimentichiamolo- di che cosa succede. Per coloro i quali cercano, faticosamente, di informarsi. Figuriamoci per gli altri.

La citazione dell’insigne storico britannico ci permette di metterci in cammino su un’altra strada. Quella che noi cercheremo di battere. Quella della quale abbiamo -avremmo- un bisogno letteralmente vitale. Sempre. Ma più che mai oggi.  Allargare lo sguardo per cercare di capire perché quello che succede, succede.

E’ vero. A questioni di enorme complessità non ci sono spiegazioni semplici. Possiamo lasciar perdere. Troppo difficile ed impegnativo. Oppure incamminarci, con pazienza, sulla strada della ricerca. Dei perché.

Con pazienza.

Non è il momento.

E qui la prima, scontata, classica, ottusa obiezione. Non è il momento. Quando la casa brucia l’unica cosa da fare è agire per cercare di spegnere l’incendio. Non è il momento di mettersi a disquisire sul perché la casa ha preso fuoco. Naturalmente c’è un fondo di verità. Come sempre e qualsiasi cosa venga detta. Da chiunque. 

Certo. Sarebbe opportuno, per prima cosa, spegnere l’incendio. Ammesso che 1. la cosa sia possibile e 2. che ci si riesca. O perlomeno circoscriverlo. Evitando, magari, di soffiare sul fuoco nel patetico tentativo di spegnerlo. 

Non è il momento. E quando mai lo sarà? Il trucco ormai lo conosciamo abbastanza bene. Quando la casa non brucia non c’è problema. Non vedete? Tutto va per il meglio. Viviamo nel migliore dei mondi possibili. In particolare noi democratici. Perché mai dovremmo riflettere e porci delle domande? Non è il momento. E, quando la casa brucia, meno che mai. C’è da correre ai ripari.  Quindi non è mai il momento.

Un po’ come quando -prima- creiamo le condizioni perché le persone si ammalino e -poi- facciamo di tutto e di più, magari “eroicamente”, per curare malattie.

Ci sembra che con questo furbo "ineccepibile" giochetto del “non è il momento”, sarebbe opportuno finirla. Troppe volte si è ripetuto nella Storia. Messo sistematicamente in atto da coloro i quali dal porre e porsi domande hanno nulla da guadagnare. E molto da perdere. E’ “pericoloso”. Per gli “assetti” costituiti. Di qualsiasi genere essi siano. I risultati sono sempre stati -poi- disastrosi. Ed è dire poco. Non ci è bastato? Non ci basta?

Le parole dell'insigne storico britannico, scritte negli anni '90 dello scorso secolo, ed arrivate al pubblico italiano, chissà perché, una ventina d'anni dopo, sono attualissime. Oggi, domani ed anche dopodomani. E ci mettono sulla strada corretta. 

Se c’è un modo davvero realistico di circoscrivere l’incendio, per poi tentare di spegnarlo evitando la catastrofe  che ci attende se perseverassimo nel giochetto del “non è il momento”, è quello di chiederci perché e come mai la casa -tanto ospitale vivaddio!- ha preso fuoco. Se per caso l’abbiamo costruita con materiale altamente infiammabile. E se, non contenti, abbiamo lasciato che “pazzi”, da noi regolarmente designati con metodi rigorosamente democratici abbiano potuto, una volta insigniti del Potere, mettersi a giocare con i cerini accesi. Lasciandoci poi trascinare -noi- nei loro deliri di onnipotenza. Offensivi. Difensivi  Ed offensivi a scopo di difesa preventiva. 

Anche se, evidentemente, una differenza tra aggressori ed aggrediti indubbiamente c’è.

Professioni di fede

E qui veniamo ad una seconda questione.

Non so se avete notato che i cultori del “più chiaro di così non si può” si stracciano le vesti di fronte a qualsiasi accenno critico-problematico sulla situazione in atto, che non venga preliminarmente anticipato da una dichiarazione “di fede” intorno a chi è l’aggressore e chi l’aggredito. Come se l’evidenza dei fatti non bastasse. L’esagerata -immancabile- enfasi  posta regolarmente su questa faccenda è sospetta. Che i cultori del “più chiaro di così non si può” nutrano qualche segreto ed inconfessabile dubbio a questo proposito? Se così non fosse perché mai dovrebbero richiedere  la preventiva dichiarazione “di fede” intorno a fatti evidenti, inequivocabili, più che eloquenti e che quindi parlano da soli?

A scanso di spiacevoli equivoci sempre possibili, e forse probabili, dichiariamo qui, visto che ve ne è bisogno, che l’aggressore è il Sig. Putin. Che l’aggredito è il Sig. Zelenskyj con tutto il popolo ucraino. Che la cosa è di inammissibile gravità e che lede qualsiasi principio scritto, e non scritto, di rispetto reciproco tra le nazioni, nonché tra i popoli da esse rappresentati.

Dopo di che dichiariamo anche che il "ragionamento" non può finire qui. Su questa ovvietà. Pur gravissima, inammissibile, ed in alcun modo giustificabile. Ma che ovvietà resta. E quindi ci porta da nessuna parte.

Scenari 

A meno di pensare:

1. Che Putin voglia arrivare davvero fino a Lisbona. Assurdo.

2. Che la “soluzione” sia una sconfitta militare della Russia. Pressoché impossibile. Anche se fanno capolino, qua e là, malriposte speranze di Vittoria.

3. Che la “soluzione” sia un rovesciamento dello “Zar” dall’interno. Altamente improbabile.

In ogni caso, fermandoci alla constatazione dell’ovvietà e “semplicemente” armando l’aggredito noi soffiamo sul fuoco nella illusione di spegnerlo. 

Sembra proprio che la direzione di marcia, e da parte di tutti, aggressori, aggrediti e sostenitori degli aggrediti sia, per il momento, questa. Perseverando il baratro è pressoché assicurato.

In questa situazione l’unica “soluzione”, che tutto ci dice sarebbe peraltro e comunque provvisoria, non può che essere una, per quanto possibile, seria, onesta e soddisfacente trattativa tra le parti in causa. Che però, purtroppo e chissà perché, pare proprio che nessuna delle suddette voglia davvero.


(continua)





giovedì 28 aprile 2022

Sull'orlo del baratro 1

 Prima puntata



Mi sembra doveroso iniziare questa piccola serie a puntate, con una premessa “metodologica”. Per così dire.

Doveroso al fine di evitare spiacevoli equivoci. Possibili, probabili e, vista l’aria che tira, quasi certi.

Come ho cercato di far rilevare nel precedente post “Pazzi, cerini e....polveriere”, il campo dei commentatori sembra essere diviso in due fazioni nettamente contrapposte.

Da una parte quello che potrebbe essere definito il campo del pensiero unico, superficiale ed acritico. Secondo il quale la questione sarebbe semplice. Da una parte aggressori. Dall’altra aggrediti. Noi stiamo, evidentemente, con gli aggrediti e dobbiamo fare  tutto il possibile per aiutarli, anche militarmente, a difendersi dagli aggressori. E -la novità-, se del caso, contrattaccare. Naturalmente per difesa preventiva.

Questo Campo è davvero Largo. 

Ma non esprime soltanto unicità di pensiero, superficialità ed a criticità. Esprime anche protervia, arroganza, sicumera. Nonché un certo grado di ottusità. Basi psico-intellettuali di ogni conflitto.

La cosa diventa di evidenza solare nel momento in cui il campo largo bolla sistematicamente come guerrafondai pro-Putin chiunque, del campo ristretto, cerchi di ragionare. Allargando la sguardo.

Mi onoro di appartenere al campo ristretto di coloro che cercano di capire. Ragionando. Nonostante gli appartenenti al campo largo sostengano che non c’è niente da capire perché “più chiaro di così non si può”. Quindi respingo preventivamente e categoricamente qualsiasi tentativo di neutralizzare il bisogno di capire. Ragionando.  Bisogno profondo. Almeno per noi del campo ristretto. L’unico, forse che potrebbe portarci da qualche parte che non sia la Grande Catastrofe Finale. 

Ma non basta. Ci sono altre possibili fonti di equivoco. Spiacevole. Non solo. Soprattutto paralizzante. Il che in una situazione come quella nella quale ci troviamo ci porta dritti dritti nel baratro. 

Tentando di ragionare sulle cause profonde e remote del terribile presente -ma anche passato- stato di cose, è praticamente certo sentirsi accusare, oggi come oggi, di “complottismo”. Nel senso che dal campo largo dell’ottusità viene praticata quella “argomentazione” secondo la quale chiunque cerchi di scavare dentro e dietro gli avvenimenti come si presentano, per cercare di com-prenderne le dinamiche interne, non espressamente evidenti alla superficie dei medesimi, sarebbe un “complottista”. Affetto per giunta da “dietrologia”. E, come se non bastasse, da “ben’altrismo”. E, persino, di nénéismo! Per non parlare del nuovo di zecca "complessismo". Per finire, si spera, con l'ormai inflazionato "negazionismo".

Respingo preventivamente, nella maniera più ferma e categorica tali “argomentazioni”. Anche se mi rendo conto che il campo dell’ottusità si estende ad una costellazione di posizioni  becere, di  banale “crticismo acritico”, che trovo estremamente fastidioso. Ormai bollate -giustamente -come “terrapiattismo”. Campo al quale mi onoro di non appartenere.

Che se ne rendano conto oppure no, tutti coloro i quali accusano chi tenta di ragionare, di “pro-putinismo”, o di “complottismo”,  o di “dietrologismo” oppure di “ben’altrismo” fanno una operazione profondamente disonesta sul piano intellettuale. Ma questo sarebbe il meno. Il fatto è che dietro le loro ottuse sicurezze nascondono, tra le righe, un terrificante -non detto-

Ovvero.

Questo mondo va benissimo così come è. E noi siamo dalla parte giusta. Quella della Libertà, della Democrazia, dello Stato di Diritto, nonché dei Diritti Umani. E, dulcis in fundo, di uno Smisurato Benessere. Economico e non solo. Chi non è con noi è contro di noi. Ci mancherebbe che non ci armassimo per difendere questo immenso, indiscutibile, sacro Patrimonio Storico. E, se del caso, perché no?, contrattaccare. A scopo di difesa preventiva. Naturalmente.


(continua)